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Il vignaiolo indipendente e le sfide della FIVI
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Un confronto con Raffaella Ciardullo

La Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti (FIVI) ha da tempo avviato una battaglia per il riconoscimento legislativo della figura del vignaiolo indipendente, una priorità ribadita anche dalla nuova presidente, Rita Babini. Ma cosa significa realmente essere un vignaiolo indipendente e perché questo riconoscimento è così importante, specialmente per una regione come la Calabria?

Ne parliamo con Raffaella Ciardullodelegata FIVI Calabria, che ci offre una visione chiara sulle necessità della viticoltura indipendente, dal peso nei consorzi di tutela alla difesa della tipicità del vino di fronte alla proposta di dealcolizzazione.

 Intervista a Raffaella Ciardullo, delegata FIVI Calabria

La FIVI, con la presidente Rita Babini, ha posto tra le sue priorità il riconoscimento legislativo del vignaiolo indipendente. Perché è così importante?
"È una battaglia essenziale. Il vignaiolo indipendente non è un semplice produttore di vino, ma segue lintera filiera: coltiva, vinifica e vende direttamente. Oggi la normativa non riconosce questa specificità e ci costringe a operare con le stesse regole delle grandi aziende, che hanno strutture e logiche completamente diverse. Questo riconoscimento darebbe dignità e tutela al nostro lavoro, valorizzando un modello produttivo sostenibile e radicato nel territorio".

In che modo questo riconoscimento inciderebbe sui vignaioli calabresi?
"In Calabria, i vignaioli indipendenti sono la spina dorsale della viticoltura. Lavorano piccoli appezzamenti, custodiscono vitigni autoctoni e tramandano tradizioni secolari. Il riconoscimento legislativo rafforzerebbe questo modello e garantirebbe strumenti concreti per proteggerlo. Non stiamo parlando solo di un vantaggio burocratico, ma di preservare unintera cultura agricola".

"Inoltre, c’è un aspetto che distingue la Calabria da altre regioni: qui coltiviamo territori eroici. Le nostre vigne si trovano in zone impervie, spesso terrazzate, dove il lavoro è ancora più duro e richiede una viticoltura interamente manuale. In altre regioni, esistono già normative che riconoscono e tutelano questi vigneti, mentre in Calabria manca ancora una legislazione adeguata. È un tema su cui dobbiamo lavorare perché, senza il supporto giusto, il rischio è che questi territori vengano abbandonati".

La FIVI sta portando avanti anche unaltra battaglia: quella per una maggiore rappresentatività dei vignaioli nei consorzi di tutela. Qual è la vostra posizione?
"La FIVI chiede da tempo che i vignaioli abbiano un peso reale nelle decisioni dei consorzi di tutela, perché chi lavora direttamente in vigna e in cantina deve avere voce sulle strategie di promozione e valorizzazione del vino. Oggi, in molti consorzi, le grandi aziende hanno una posizione dominante, mentre i piccoli produttori restano marginali".

"Questa è una battaglia che riguarda anche la Calabria. Noi vignaioli FIVI abbiamo contribuito in modo concreto a innalzare il livello qualitativo dei vini calabresi. Il nostro lavoro, basato su pratiche sostenibili e su una forte identità territoriale, è stato determinante per il miglioramento della percezione e della reputazione del vino calabrese. Nonostante questo, spesso non abbiamo strumenti adeguati per far valere la nostra visione all'interno delle strutture decisionali".

La FIVI ha anche preso una posizione netta sulla dealcolizzazione del vino. Qual è la vostra visione?
"Il vino non è un liquido da modificare, è espressione di una terra e di una storia. Dealcolizzarlo significa snaturarlo. Anche noi vignaioli calabresi riteniamo che il vero problema non sia il vino, ma labuso di alcol. Il rischio è che, in nome di una presunta tutela della salute, si penalizzi un prodotto artigianale, colpendo chi lavora con serietà e responsabilità".

"C’è un punto che merita una riflessione: non tutto ciò che la scienza dice che fa male è il male maggiore. La salute pubblica è un tema serio, ma bisogna evitare semplificazioni. Il vino, consumato con moderazione, fa parte della dieta mediterranea, della nostra cultura e della nostra economia. Serve educazione al consumo, non una sua demonizzazione".

Quali sono le sfide specifiche per il settore vinicolo in Calabria?
"Promozione del suo vino, ma manca ancora una sinergia concreta con le strategie della Regione. Noi vignaioli indipendenti rappresentiamo 43 cantine, una parte fondamentale del tessuto vitivinicolo calabrese. Eppure, troppo spesso le politiche di sviluppo non ci coinvolgono come dovrebbero".

Quale sarebbe il primo passo per migliorare questa cooperazione?
"La Regione deve riconoscere il valore reale dei vignaioli indipendenti e renderli protagonisti delle strategie di sviluppo. Non siamo una nicchia da tutelare, ma la base della viticoltura calabrese. Serve una cooperazione più fattiva e una visione chiara che parta proprio da chi lavora la terra ogni giorno. Solo così possiamo garantire un futuro solido per il vino calabrese, senza snaturarlo o perderne lautenticità".

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