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Grande successo per Emanuela Anechoum a Cosenza
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Ieri, alla libreria Ubik di via XXIV Maggio, a Cosenza, Emanuela Anechoum ha presentato il suo romanzo "Tangerinn", edito da edizioni e/o. A dialogare con la scrittrice, è stato il giornalista e scrittore Giuseppe Smorto. E giovedì 24 aprile, alle 18.30, la biblioteca "Stefano Rodotà" del Liceo Telesio ospita un’altra protagonista della Decina 2025 del Premio Sila, Nicoletta Verna, che presenta il suo romanzo "I giorni di vetro" (Einaudi).

Non c’era un angolo libero, venerdì sera alla Ubik di Cosenza, per il quinto atto della Decina 2025 del Premio Sila. Sul proscenio, Emanuela Anechoum e il suo "Tangerinn". Ad accompagnarla, il giornalista e scrittore Giuseppe Smorto che, con la curiosità di un cronista-navigatore, ha frugato insieme con lei tra le pagine del romanzo, alla ricerca delle radici nascoste e di un senso di appartenenza.

Anechoum, nativa di Reggio Calabria, ha condiviso con il pubblico il percorso che l’ha portata alla stesura del suo primo libro, soffermandosi sulla genesi dei personaggi e sui luoghi che fanno da sfondo alla narrazione.

Gemma Cestari, direttrice del Premio Sila, ha introdotto l’autrice ricordando come il suo romanzo abbia già ottenuto importanti riconoscimenti, tra cui il Premio Bancarella.

Un romanzo autobiografico?

«Sono partita da un dato personale che mi ha sempre molto colpito – ha raccontato Anechoum –, mio padre è arrivato negli anni 80 a Reggio Calabria e ha deciso di stabilirsi lì, ha aperto un’impresa, una palestra, si è sposato con mia madre e hanno messo su casa e famiglia. E Reggio è stato il luogo dove mio padre ha realizzato i suoi sogni, mentre è una città in cui tutta la mia generazione è cresciuta sapendo di dover andar via». La scrittrice ha poi chiarito le differenze tra la sua esperienza personale e quella della protagonista del romanzo: «Io sono molto fortunata e privilegiata rispetto a Mina. Mina non conosce la sua famiglia in Marocco perché non ha avuto un vero rapporto col padre in vita. Al contrario, mio padre è vivo, il rapporto con mio padre ce l’ho, lo posso chiamare al telefono in qualsiasi momento».

Il Sud tra identità e appartenenza

Interrogata da Peppe Smorto sui Sud raccontati nel romanzo, l’autrice ha spiegato: «Il Sud che racconto non è specifico perché non volevo essere tacciata di imprecisione e quindi furbescamente non l’ho voluto definire con una città specifica. Volevo che avesse delle caratteristiche della costa ionica, in particolare, che ci fossero i centri di accoglienza, che ci arrivassero le navi».

«Ho cercato di creare dei parallelismi tra la storia di Mina e quindi la sua familiarità con determinati odori, con determinate luci, anche con il passare del tempo – ha continuato l’autrice –. Una cosa che mio padre dice spesso, e che io trovo molto vera, è che una delle somiglianze più profonde tra il Nord Africa e la Calabria è che il tempo d’estate è molto lento. Il passare del tempo a mare, le giornate lente dell’estate, quando il sole tramonta tardi e c’è una certa vaghezza nell’aria. Ho cercato di infondere nel libro delle atmosfere che portassero a un’idea proprio di Mediterraneo perché è la nostra casa».

Le donne nel romanzo

Un tema centrale del libro è la rappresentazione della figura femminile nelle diverse culture. «Nel libro descrivo tante donne di questa famiglia, nessuna di loro è una donna tradizionale della borghesia della provincia – ha evidenziato Anechoum –. In questa famiglia di Mina, Aisha la sorella ha deciso di essere musulmana, porta il velo ed è lesbica. La madre è una donna che non è in grado di prendersi cura delle figlie, è praticamente ferma all’adolescenza, soffre di una depressione molto pesante. E poi c’è la nonna partigiana, molto dura, molto cinica, anche lei veramente poco materna».

«Ho voluto immaginare delle donne molto diverse da quelle con cui sono cresciuta – ha aggiunto la scrittrice –. Sono cresciuta nella piccola borghesia di Reggio Calabria, in cui mia madre e mia zia sono tutte insegnanti e hanno dedicato la loro vita alla crescita dei figli e alla cura della famiglia».

Il percorso di Emanuela Anechoum

Alla domanda su come sia diventata scrittrice, Emanuela ha risposto: «Non lo so, è stato un caso. Amavo leggere, ho sempre amato leggere. La mia prima comunità di riferimento è sempre stata la comunità dei lettori».

«Tramite l’Erasmus plus ho fatto uno stage a Londra – ha raccontato –. Ho cominciato a lavorare nei diritti semplicemente perché conoscevo la differenza tra Newton Compton e Adelphi, che loro magari non sapevano. Ho conosciuto gli editori di edizioni e/o che mi hanno chiesto a un certo punto: "Ma vuoi venire a fare i diritti di Elena Ferrante?", che è stato penso il più grande onore della mia vita. Così ci sono capitata per passione sicuramente, per caso sicuramente, ma soprattutto tantissimo per privilegio».

Peppe Smorto ha evidenziato come il libro affronti il tema della fortuna e del privilegio: «C’è il tuo personaggio nel libro che dice: "Sono fortunato perché sono vivo". Cioè la percezione della fortuna può cambiare».

Giovedì 24 aprile, appuntamento con Nicoletta Verna

Giunto alla tredicesima edizione, il Premio Sila ‘49 continua a confermarsi come uno dei riconoscimenti letterari più autorevoli in Italia. La Decina 2025 propone un calendario di incontri con i dieci finalisti selezionati dalla giuria, offrendo al pubblico l’occasione di scoprire opere e autori. Dopo il successo dell’incontro con Emanuela Anechoum, giovedì 24 aprile, alle 18, la biblioteca "Stefano Rodotà" del Liceo Classico Telesio di Cosenza ospiterà Nicoletta Verna che, accompagnata dalla professoressa Rosanna Tedesco e dal magistrato Alfredo Cosenza, presenterà al pubblico il suo romanzo "I giorni di vetro" (Einaudi). Un racconto che illumina l’oscurità del Ventennio attraverso gli occhi di Redenta, la protagonista, nata sotto una cattiva stella, ma capace di resistere alla violenza del gerarca Vetro e alla crudeltà della Storia.

Tre domande a Emanuela Anechoum

Abbiamo voluto approfondire ulteriormente alcuni dei temi del libro con l’autrice…

Quanto della tua esperienza personale è confluito nel romanzo?

Ho preso spunto da una riflessione personale che mi ha sempre colpito: mio padre è arrivato a Reggio Calabria negli anni 80, ha costruito lì la sua attività e i suoi sogni, mentre io e la mia generazione siamo cresciuti sapendo che saremmo dovuti andar via. Da questa contraddizione ho iniziato a interrogarmi su cosa sarebbe successo se non avessi avuto il privilegio del sostegno familiare, e così è nata Mina.

Come descrivi il concetto di ‘famiglia’ nel tuo libro?

L’ho immaginata come una struttura quadrata, una sorta di castello che si difende dall’esterno nascondendo i propri segreti al suo interno. È un luogo dove ciascuno osserva gli altri dal proprio angolo, senza reale comunicazione. Ogni personaggio ha una forte individualità ma anche una profonda solitudine, e questo contrasto tra libertà e isolamento era importante da esplorare.

Esiste una differenza nel modo in cui viene accolto il tuo libro al Nord e al Sud?

Una cosa che accade regolarmente nelle presentazioni al Nord, e non al Sud, è che c’è sempre qualche calabrese emigrato che si commuove e alla fine dell’incontro viene da me dicendo “io sono calabrese” e piangiamo insieme. È come se in qualche modo rappresentassi un ritorno a casa per loro, un’esperienza che trovo particolarmente toccante.

 

 

 

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